Jane Eyre: in sintesi

Le vicende narrate da Charlotte Brontë in Jane Eyre (1847), contengono un orientamento – caposaldo della cultura di genere, l’autonomia della donna nella società britannica della seconda metà dell’ottocento. La giovane istitutrice da cui prende nome il romanzo canonico del romanticismo inglese, priva di mezzi ma felicemente dotata di risorse intellettuali e artistiche, giunge a occupare insperatamente i pensieri e i sentimenti del maturo e misterioso master Edward Rochester, depositario di un segreto legato a un lontano passato doloroso: il precoce, infelice matrimonio con un’ereditiera giamaicana, Bertha Mason, in seguito preda di incontenibili deliri. Da anni vive rinchiusa in stanze segrete della casa dove è guardata a vista da una carceriera ubriacona. L’intreccio secondario espone le ragioni di Rochester, che rivela come il matrimonio contratto con la giovane, ricca e sessualmente disponibile quanto psichicamente instabile, si fosse rivelato, oltre che un mancato idillio, una condanna all’infelicità. Armata degli stereotipi del pregiudizio coloniale, Charlotte Brontë delinea nella meticcia antagonista di

Jane – la quale è bianca, anglosassone, puritana – una orrida presenza demoniaca, i cui accessi di furia sembrano derivare da eccessi nel clima della colonia, associabili al furore del sole caraibico. La demente in soffitta potrà liberarsi dalla reclusione sociale perpetua, cui l’ha condannata il marito, solo per andare incontro alla morte nell’incendio della casa da lei stessa attizzato; evento che consentirà ai due ormai maturi innamorati, Edward Rochester e Jane Eyre, di ritrovarsi e ricongiungersi in un legittimo legame endogamico, finalmente paritario. Jane ha infatti ereditato da un lontano parente una piccola fortuna che le consente di giocare in un nuovo ruolo, non subalterno, per pareggiare i conti, oltre che con le avversità e le privazioni della prima giovinezza, con l’aristocratico partner. Dall’uomo ora legittimamente sposato non dovrà più dipendere come in passato, quando era al suo servizio da governante e istitutrice della figlioccia.

Le origini della vicenda

Questo in sintesi l’intreccio di Jane Eyre, al quale è seguito, a distanza di oltre un secolo, una speciale sequela, Wide Sargasso Sea (1966). Dell’opera è autrice l’anglo-caraibica Jean Rhys, che conquista il premio Pulitzer con la sua novella postcoloniale brontiana su Bertha Mason. Jean Rhys ridà voce narrante e un ruolo di primo piano alla moglie creola, prodotto del crossbreeding anglo-caraibico. Dislocata in Jamaica, in Dominica, e in parte nello stesso scenario inglese del romanzo capostipite, la tenuta aristocratica di Thornfield Hall, la vicenda narrata rappresenta la sfida e la risposta della woman writer al sessismo patriarcale dell’inflessibile dominatore britannico, da lei personificato nell’uomo senza nome, il revenant che intuiamo essere Edward Rochester. È il fantasma redivivo dell’anglosassone bianco, puritano e fedifrago, condizionato dagli stessi codici irreducibili di due mondi che riemergono, attraverso la rilettura del romanzo capostipite, come fatidica contrapposizione di fascinazione/orrore, esotico/nostrano, calura/gelo. Nell’intreccio di Wide Sargasso Sea la colonia giamaicana è colta intuitivamente secondo il segno dell’esuberanza eccessiva indotta dal clima: la natura arroventata dall’esposizione al sole dei tropici induce stati psichici roventi che si riverberano nell’alterazione psichica di Bertha. Rhys riprende in parte il criterio di giudizio legato al fattore ambientale, ma diversamente da Charlotte Brontë assolve la creola, la cui stessa esistenza sembra rispondere armonicamente al richiamo vitalistico della natura tropicale. Introduce inoltre, ma in netta contrapposizione con l’autrice ottocentesca, il tema del determinismo ambientale per condannare la visione del mondo dell’invasore britannico: il rigore del controllo, un tratto che prevale nei dominatori /sfruttatori, presuppone un codice di comportamento rigorosamente inflessibile, deterministicamente collegato all’implacabile rigidità del clima invernale.

Angelica Palumbo