Quando e come nacque la “Scapigliatura”

Forse perché sfugge ad una rigida definizione e alle etichette svilenti della critica, la Scapigliatura non è ancora in pieno riconosciuta per la verità che rappresenta nel panorama letterario italiano: affascinante e maledetta. Meneghina di nascita e di carattere, è l’espressione più pura di un periodo storico complesso che copre pochi, ma intensi, anni di luci e di ombre tra servilismo e libertà: corre all’incirca tra il 1860 e il 1880. Breve, ma con la forza di un leone: sì, perché il motto degli scapigliati potrebbe essere “hic sunt leones”; è così che si pongono questi giovani arditi e ardenti, aggressivi e mordaci contro quel sistema borghese, ormai imperante, che è per loro

inadeguato. Questi giovani sono impetuosi, ma non abbastanza forti, per sfondare uniti la trama romantica. I nomi più noti al pubblico sono Arrigo e Camillo Boito, Emilio Praga, Cletto Arrighi, Giovanni Rovani, Carlo Dossi, Iginio U. Tarchetti, Giovanni Camerana; i nomi più silenti: Salvatore Farina, Antonio Ghislanzoni, il Piccio, Giovanni Carnovali, Tranquillo Cremona ed altri ancora. Ogni “scapigliato” è un mondo a se stante che rende questo fenomeno estremamente variegato e dinamico, declinato nelle Arti sorelle, letteratura, pittura e scultura, musica: e qui sta la loro fondamentale caratteristica.

Perché “Scapigliatura”?

Il termine “Scapigliatura”, del resto, rende bene questo aspetto così poco disciplinato; oltretutto esso è la traduzione di bohème, parola utilizzata dal francese Henri Murger, nel romanzo Scene della vita di Bohème, impegnato a descrivere giovani bohèmien nelle loro performance trasgressive.
Gli Scapigliati, maledetti, prendono a modello su tutti Charles Baudelaire, il poeta maledetto per eccellenza:

(…)
Come un povero depravato bacia e succhia
il seno tormentato d’una vecchia
puttana, rubiamo al volo piaceri clandestini
che spremiamo come un’arancia sfatta.

Compatti, brulicanti come vermi a milioni
nel cervello ci fa casino un popolo di Demòni,
e quando respiriamo ci scende la Morte
cupo lamento, fiume invisibile nei polmoni.

Se lo stupro il veleno il pugnale l’incendio
non hanno ancora ricamato la loro figura delicata
sullo straccio dei nostri miserabili destini,
è perché la nostra anima, eh!, non è così ardita.

Ma tra gli sciacalli le pantere le linci!
le scimmie gli scorpioni e avvoltoi e serpenti
i mostri che stridono urlano grugnano e si agitano
nel serraglio dei nostri vizi dementi

ce n’è uno! più basso e velenoso e immondo…
Se pur non fa alte grida, né grandi moine,
farebbe volentieri della nostra mente rovine
e in uno sbadiglio ingoierebbe il mondo;

è la Noia! – Occhio greve di pianto involontario
sogna impiccagioni fumando la pipa tranquillo.
Tu lo conosci, lettore, questo mostro sedentario,
-ipocrita lettore, -mio simile, -fratello!
(C. Baudelaire, Al lettore, in I fiori del male, trad. it. Davide Rondoni, Salerno Editrice 2010; vv. 17-40)

E come lui, anche loro vogliono rompere con la tradizione: tagliare quei lacci che impediscono di dar libero sfogo ad un nuovo sentire, ad un desiderio di indipendenza storica, politica, intellettiva. Dissacrano i valori tradizionali, li storcono, li agguantano come serpenti velenosi, soffocandoli: il letterato allora gioca un ruolo fondamentale ed assoluto, lontano da quel reale fatto di banchieri e di numeri, di logiche economiche ereditate dalla Prima Rivoluzione Industriale e proiettate sulla Seconda. Così, allora, lui, l’artista, il funambolo di un nuovo essere, si muove carico di un Ideale che diventa rifugio.

L’artista e il mal di vivere

Ma non c’è trionfo: l’angoscia esistenziale lo assale e getta addosso alla sua vita un mantello frustrante; il musicista, il poeta, lo scrittore, l’artista sono i reietti della società, sono ai margini. E nel margine delle loro giornate scrivono una vita che si perde in amori al limite della lascivia, in droghe e alcool, spinti sempre a testare l’eccesso, l’oltre, a superare il limite umano. E così tendono una mano al Decadentismo e si fanno ponte tra passato romantico, presente e futuro Verista. In questa congerie di slanci in avanti e richiami all’indietro, di mancanza di definizione e di sfuggevolezza, diventano giocolieri della parola perché percepiscono la lingua inadeguata ad esprimere i loro sentimenti: così Tarchetti in La lettera U (in Racconti gotici e fantastici, Esperimenti, a cura di Dario Pontuale, ed Black dog, 2019) analizza le vocali per coglierne il significato al di là del segno grafico, valicando il reale: “Allora incominciai a vivere da solo, a pensare, a meditare, ad operare da solo. Entrai in una nuova sfera di osservazioni, in una sfera più elevata, più attiva: studiai i rapporti che legavano ai destini dell’umanità questa lettera fatale”.

L’introduzione del romanzo “La Scapigliatura e il 6 febbraio” di Cletto Arrighi è il manifesto della Scapigliatura:

“…meritano di essere classificati in una nuova e particolare suddivisione della grande famiglia sociale, come coloro che vi formano una casta sui generis distinta da tutte le altre.
Questa casta o classe – che sarà meglio detto – vero pandemonio del secolo, personificazione della follia che sta fuori dai manicomii; serbatoio del disordine, della imprevidenza, dello spirito di rivolta e di opposizione a tutti gli ordini stabiliti; – io l’ho chiamata appunto la Scapigliatura.
La qual parola prettamente italiana mi rese abbastanza bene il concetto di tal parte di popolazione (…)
La Scapigliatura è composta da individui di ogni ceto, di ogni condizione, di ogni grado possibile della scala sociale.
(…) Da un lato: un profilo più italiano che milanese, pieno di brio, di speranza e di amore; e rappresenta il lato simpatico e forte di questa classe, inconscia della propria potenza, propagatrice delle brillanti utopie, focolare di tutte le idee generose (…)
Dall’altro lato, invece, un volto smunto, solcato, cadaverico; su cui stanno le impronte delle notti passate nello stravizzo e nel giuoco; su cui s’adombra il segreto d’un dolore infinito”
(Cletto Arrighi, La Scapigliatura e il 6 febbraio, a cura di Roberto Fedi, ed Mursia 2018)

La Scapigliatura fenomeno non solo milanese.

Vero è anche che non ci furono solo scrittori milanesi e lombardi, ma anche piemontesi e liguri che diffusero le idee scapigliate di Milano; ma Milano rimane l’ambiente privilegiato e comunque decisamente più attivo, anche per il suo essere crocevia di intellettuali stranieri e di informazioni politiche e culturali.
Uomo del doppio, dei contrasti, della luce e delle tenebre, lo Scapigliato è un novello Edipo che lotta tra evidente e ombra, verità e opinione, chiarezza e sospetto, reale ed extra-reale sconfinando nel fantastico:

Sono luce ed ombra; angelica
farfalla o verme immondo,
sono un caduto chèrubo
dannato a errar sul mondo,
o un demone che sale,
affaticando l’ale,
verso un lontano ciel
(Arrigo Boito, Dualismo, in La poesia scapigliata, a cura di Roberto Carnero, Bur 2007)

Ilaria Anna Lucini